lo spunto

Il terrore di Parigi non fermi lo sport e la vita

Sto guardando distrattamente la nazionale di Conte, il risultato è indirizzato e la mente vaga al futuro, a cosa avrebbe potuto fare l’Italia ai prossimi Europei e se ci fosse stata una prospettiva interessante per il risultato finale di...

Manuel Minguzzi

Sto guardando distrattamente la nazionale di Conte, il risultato è indirizzato e la mente vaga al futuro, a cosa avrebbe potuto fare l’Italia ai prossimi Europei e se ci fosse stata una prospettiva interessante per il risultato finale di Francia 2016. Mentre penso ad una Italia eliminata ai quarti, o al massimo in semifinale, sento il commentatore parlare di ‘atroci episodi che hanno coinvolto Parigi’. Distratto, mi desto. Giro i vari canali ma non trovo traccia di uno speciale, di una edizione straordinaria. Decido di andare su Sky Tg 24, trovo le immagini in diretta di Francia-Germania e sotto la scritta ‘attacco terroristico a Parigi, decine i morti’. La prima cosa che mi viene in mente è: perché continuano a giocare allo Stade de France? Poi invece ho ragionato e sono arrivato ad una conclusione: lo sport deve fare in modo che la nostra vita continui. Il terrorista semina terrore, per definizione, sconvolge le nostre vite gettandoci nella paura, rinchiudendo la nostra libertà in una prigione mentale dettata dal terrore di uscire di casa, andare a cena, andare allo stadio. Voglio intimidirci uccidendo, non con l’intento di conquistare il mondo ma semplicemente per affermare il loro stato islamico (rigorosamente, per quanto mi riguarda, minuscolo).

Così, mentre i politici più di pancia parlano subito di guerra, di bombardamenti, di attacco all’Is, provo a ragionare con calma. Fatemi capire: dovremmo andare là a bombardare chi? Non è che forse dobbiamo pensare che il pericolo maggiore sia  già presente da anni in Europa? E poi, queste canaglie mica attaccano la Tour Eiffel come fu per le Torri Gemelle, ma il ristorante cambogiano sotto casa, quello che nessuno si fila e nessuno protegge perché non considerato luogo a rischio. E’ un terrorismo puntiforme, non è una guerra tra una nazione e un’altra.

Attaccano la Francia per una dimostrazione di forza, una nazione che ha esposto il fianco con una gestione sciagurata del proprio colonialismo. Senza dimenticare quella spartizione dell’Impero Ottomano post prima guerra mondiale che può essere considerata la piccola miccia di ciò che sta accadendo ora. Non è questo il punto, tanto il fatto che riconoscere il nemico, in questo specifico caso, diventa complicato. Può essere chiunque, anche il più insospettabile. Il duplice problema è che questa situazione porterà i paesi con una inclinazione xenofoba più percettibile a cavalcare l’onda per pura propaganda elettorale. Salvini e Putin ci salveranno dal male? Non credo. Abbiamo di fronte un islamismo estremo, che nutre l’odio e lo propaga, ma bombardando uccideremmo solo gli uomini che odiano e non l’odio in sé. Quello c’è già e gli attentati di Parigi dimostrano che può essere nel nostro paese, nella nostra città, nel nostro quartiere.

Cosa fare allora? Non lo so, non sta a me dirlo, la soluzione toccherebbe a chi di dovere, ai politici, ai diplomatici, forse anche ai generali, ma più per una visione strategica che bellicosa. Lo abbiamo già fatto, siamo andati in Iraq e in Libia, abbiamo sconfitto i tiranni ma mica i terroristi. Servirebbe una riscossa morale, intellettuale, resistere interiormente e provare a cambiare il mondo con i pensieri piuttosto che con le armi. Le armi fermano le persone, le idee e i pensieri possono annientare l’odio. Sono banale? Ho una visione utopica? Può essere, ma è l’unica che ho per questo mondo ormai diventato brutto da lasciare in ‘dono’ ai nostri figli.

Ci sarebbe invece lo sport, uno dei pochi luoghi di aggregazione che nel corso degli anni è riuscito prima ad unire bianchi e neri, poi a fondere culture diverse e basate su religioni opposte. Se ci facciamo prendere dal panico, avranno comunque vinto loro. Siamo già terrorizzati per l’imminente Giubileo e per l’Europeo del prossimo anno, ma così facendo moriremmo nell’animo ancora prima che fisicamente. Dove non arriva un kalashnikov arriva la paura. Ed è esattamente ciò che vogliono. La nostra risposta, più che armata, deve essere morale. Dettata dalla forza che solo la vita ci può dare, quel nettare linfatico che deve rendere la nostra esistenza qualcosa da ricordare e non un cortocircuito di atrocità e terrore. Vogliono fermarci, rendere il nostro vissuto un connubio di ansia e sospetto. Dovremmo invece essere uniti, ma ci disgregheremo se il nostro pensiero sarà già diviso in partenza tra chi vorrebbe annientarli tutti, come se si trattasse di risolvere la situazione con uno schiocco di dita, da chi preferirebbe una reazione intellettuale. Le guerre lampo sono sempre stato un disastro, le lunghe battaglie culturali possono cambiare il mondo.

Lo sport può essere il nostro salvagente, aiutarci ad andare avanti senza paura, senza timore di frequentare ancora gli stadi o i palazzetti, ammirare le gesta sportive dei nostri atleti preferiti. Dobbiamo continuare a vivere, come abbiamo sempre fatto, lasciando questi vigliacchi in un angolo, relegati a moscerini che ci ronzano attorno. E’ difficile, ma dobbiamo farlo. Si va avanti, si gioisce, si vive, ci si emoziona. Nonostante tutto.