lo spunto

Fenucci si sbottona: il Bologna non è ancora grande (e sui diritti tv bisognerebbe copiare la Premier)

Stadio, diritti tv, futuro tecnico ed economico della squadra: il Bologna ha davanti a sé una strada lunga. La Premier può essere un modello

Manuel Minguzzi

E' un processo lungo, che richiede tempo. Non basta solo avere un proprietario dalle spalle larghe per diventare in automatico un top club. L'equazione 'metto più soldi uguale divento il Psg' non funziona. Qui si parte troppo dal basso affinché un autofinanziamento imponente consenta al Bologna di puntare da subito all'ottavo scudetto o all'Europa. E poi: per rendere il Bfc competitivo ad altissimi livelli, quanto dovrebbe spendere Saputo? Tanto, troppo, e anche lui non è del tutto scemo. Di conseguenza bisogna fare il modo che il Bologna abbia un sostentamento, crei ricavi da poter reinvestire per migliorare il club sia dal punto di vista sportivo che logistico-finanziario. Ecco perché il concetto di stadio di proprietà (anche se in realtà non è proprio così) è molto caro all'amministratore delegato, il quale entro dicembre vuole presentare a tutti gli effetti il progetto restyling del Dall'Ara sia al comune che alla Soprintendenza. Non che tutti i ricavi possano essere generati da uno stadio rinnovato, ma fornire al club un'altra consistente voce di entrata oltre ai soliti diritti televisivi appare fondamentale. Su questo Fenucci è stato chiaro lanciando una stoccata ad Infront: "Sarebbe importante attingere direttamente ai mercati televisivi, cosa che oggi l'advisor ci impedisce".

Ora, non so con esattezza se Fenucci spera di poter trattare singolarmente i diritti televisivi, un po' come avviene in Spagna, ma di sicuro il fatto che la questione debba essere riformata è fuori discussione. Nella Liga i singoli club trattano i diritti televisivi con le emittenti, ma lo squilibrio diventa la normalità: infatti il Real Madrid introita 150 milioni di euro, una squadra qualsiasi di bassa classifica circa 15. Il risultato? Dal 2016 anche in Spagna si adotterà il modello inglese dopo che i club medio-piccoli hanno minacciato lo sciopero. Ma in Premier come funziona? Lo spieghiamo subito. Vi è innanzitutto una distinzione tra ricavi nazionali ed esteri. I primi rappresentano il 61% del totale, il secondo il restante 39%. La metà dei diritti nazionali sono ripartiti in egual misura a tutti i club, un quarto a seconda del numero di partite trasmesse in diretta tv e un quarto sulla base della classifica. Per quanto riguarda il 39% di diritti esteri invece la divisione è chiara: tutte le società ne beneficeranno in parti uguali. Il risultato? Un club di vertice come il Manchester City può incassare 80 milioni di euro, una società di medio bassa classifica anche 50. Differenze decisamente contenute se paragonate al campionato italiano.

In Serie A mediamente il rapporto di introiti tra una grande e una piccola è di 5 a 1. La divisione delle quote, basate su risultati sportivi, numero di tifosi e popolazione del comune, genera ovviamente disparità evidenti. Punto primo perché i risultati sportivi sono tenuti in considerazione solo dal dopoguerra ad oggi (e il Bologna vinse sei dei suoi scudetti prima) e secondo perché il numero di tifosi non potrà mai essere un dato oggettivo incontrovertibile e inconfutabile. Il problema è che numero di tifosi e popolazione del comune contano sul 30% del totale. Ecco perché la Juve ricava più di 100 milioni di euro e il Bologna 'solo' 34. Pensate, se in Italia si adottasse il 'metodo' Premier League, la Juve ricaverebbe meno di 70 milioni di euro, il Bologna circa 45 e il club con la cifra più bassa 35. Se ora tra una big e una piccola possono esserci anche 80 milioni di euro di differenza come ricavi da diritti televisivi, dopo ce ne sarebbero solamente 30.

Tornando al Bologna è ovvio come un dirigente capace e affermato come Fenucci spinga alla tanto chiacchierata e mai affrontata riforma del calcio. Temo per lui che non si farà mai e la Serie A continuerà a perdere il suo appeal al cospetto del campionato inglese che continua invece ad arricchirsi. L'ultima asta per la vendita dei diritti tv per la Premier ha generato un ricavo totale di quasi 7 miliardi di euro. Inoltre, per non togliere pubblico dagli stadi, solo il 44% delle partite di campionato viene trasmesso in tv. In Italia si fa esattamente il contrario: si favorisce il pubblico televisivo a discapito di quello da stadio. Il Bologna dunque non è ancora un grande club, ma non è tutta colpa sua. E' per questo che il cardine del progetto di rilancio della società è basato sul restyling del Dall'Ara: per sopperire alle mancate entrate televisive con gli introiti derivanti dall'impianto di gioco. Partite, bar, ristoranti, musei, negozi, tutto farebbe brodo per le casse del club.

L'ultima considerazione è sul mercato. Fenucci ha ammesso che il Bologna, non essendo un top club, non può permettersi di trattenere un top player. Ma state tranquilli tifosi rossoblù: Diawara non è ancora diventato un fenomeno, per un paio di stagioni crescerà qui. Dopo sì che la plusvalenza sarà ingente. Poi certo, per continuare a crescere i dirigenti si dovrebbero impegnare a reinvestire quel denaro per non commettere gli errori 'guaraldiani'. Non ho motivi per dubitare di questo, lo ha detto ieri Fenucci.