lo spunto

Al Bologna si vuole bene

Non passa l’incazzatura per la sconfitta inopinata contro il Milan, ma se non si guarda avanti l’ambiente si attorciglierà attorno alle polemiche personali

Manuel Minguzzi

Più che la sconfitta, che ancora brucia e fa male, dà fastidio la rivalsa personale. Un’orda di commenti nel post partita ha partorito la rivincita personale a discapito del bene comune. Sembrava quasi che in tanti fossero contenti della disfatta rossoblù semplicemente per poter scatenare la loro ira nei confronti di chiunque fosse un tesserato del Bologna. Da anni in città non si soffre più per i colori del Bologna, ma per le proprie opinioni personali. E’ più una guerra interna di ambiente, in cui non prevale l’amore per la squadra della città quanto il narcisismo del pensiero più simile al tuo a discapito di quello altrui. In questa città non è tanto importante che vinca il Bologna, l’unica cosa che conta è avere ragione e sbandierarlo.

Certo, tutto è criticabile in questa fase ed è giusto farlo, ma i toni e le analisi dovrebbero mantenere di base un certo equilibrio, onde evitare la solita altalena dettata dai risultati di una squadra che tanto impresentabile non è se una settimana fa era decima in classifica. Se si vince saltano fuori i ‘sempregodenti’ se si perde spuntano i rivali e viceversa. Così non si va da nessuna parte, inteso come ambiente ancora prima che come società e progetti. Saputo parla di mettere cento milioni nel Bologna? E’ propaganda per attirare consensi. Li mette saldando i debiti e consolidando la categoria? Ne ha spesi pochi. Parte tutto da qui, non sono tanto i Krejci o i Pulgar a spaccare la platea, quanto le opinioni su chi ci governa, passato da salvatore della patria a presidente dalle poche ambizioni, quasi tirchio per non aver comprato Messi. E’ logico attaccare e criticare una squadra capace di prendere sette gol e perdere in doppia superiorità numerica nel giro di tre giorni, si può anche spronare la dirigenza a fare meglio ed è normale sia così, ma arrivare fino in cima, al presidente che ha salvato la baracca a suon di denari pare eccessivo. Soprattutto perché ha deciso di investire su giovani di proprietà e non su trentenni in prestito, su strutture e ambiente come forse mai nessuno aveva fatto in precedenza.

Il problema della città è che sostanzialmente non ama le vie di mezzo. Consolidarsi in Serie A nel primo triennio significa fare una serie di campionati tranquilli attorno alla metà classifica, stagioni considerate però insipide perché prive di entusiasmo e ambizioni. Si chiede di comunicare in maniera diversa, ma pronunciare obiettivi più ambiziosi e poi perdere in undici contro nove non sarebbe ancora peggio? Bologna vive di bianco o nero, bisogna essere in cima e soddisfare il palato a suon di 'zugadùr', altrimenti è tutto nero e da cancellare. Ma siamo talmente divisi all’interno che un giorno anche qualificarsi all’Europa League potrebbe essere troppo poco per la platea, semplicemente perché si vuole sempre di più e sempre meglio. Mai contenti. No, non lo può essere nessuno in questa fase, anzi l’incazzatura non passa proprio, ma si prova comunque a guardare avanti e pensare che le strategie a lungo termine possano essere giuste. E qualora così non fosse si china il capo e si fa ammenda, altri farebbero lo stesso? In sintesi, abbiamo preso due belle mazzate, ma chi vuole bene al Bologna proverà a trovare un modo per risalire, chi fa finta di volergliene si avviterà nella solita polemica senza senso del ‘ve l’avevo detto’. Come tutti voi tifosi più veri, i nervi  sono a fior di pelle però non è con i processi in piazza che si aiuta l’ambiente a risollevarsi. Anzi, lo si divide ancora di più. Sì, dovrebbe essere il Bologna a conquistarvi al novantesimo, ma in questo momento non ce la fa e la vera differenza è che in passato non ce la faceva ugualmente e falliva, mentre ora è a metà classifica e in linea con gli obiettivi del club. In realtà, sono proprio i target societari nel breve periodo a non piacere alla platea e questo complica tutto, perché si può discutere sulle scelte tecniche o di gestione, ma probabilmente non sul chairman. Occorre ricordare che il signore non è italiano, ed è come se io decidessi di comprare una squadra di hockey canadese: non conoscerei giocatori e tattiche, semplicemente mi affiderei a dirigenti che qualcuno mi ha consigliato di far salire a bordo. E allora perché trattare Saputo alla stregua di tanti altri predecessori?

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