lo spunto

Il diritto di cambiare, ma non con le dimissioni

Manuel Minguzzi

E veniamo al punto. In una situazione normale, nessuno si stupirebbe di un ragionamento in atto sul futuro della panchina di una squadra quartultima con tre punti in classifica sui quindici a disposizione, tra l'altro con una serie di prestazioni da mani nei capelli e tre scontri diretti in parte steccati. Ma questa situazione normale non è e tutto fa discutere. Credo però che il Bologna abbia fatto tutto il possibile in questi anni per non risultare irrispettoso, sgarbato o cinico nei confronti di un mister impegnato su un durissimo fronte. Da tre anni, infatti, il club è stato al suo fianco, tenendolo lì, al suo posto, nonostante questo potesse comportare il sacrificio di qualche risultato sportivo in favore dell'aspetto umano ed emozionale. La sfortunata malattia, arrivata proprio quando il Bologna sembrava pronto a prendere il volo, ha tolto un pezzo di vita al mister e un pezzo di calcio al club. C'è un pre e un dopo 2019, fatto di una società che, pur sapendo che l'allenatore si sarebbe assentato per mesi, ha deciso di fidarsi dei suoi collaboratori e di issarsi al fianco del proprio condottiero, anche a costo di sacrificare qualche punto dovuto all'intermittente assenza del grande capo. Il Mihajlovic che ha salvato brillantemente il Bologna avrebbe probabilmente raggiunto i famosi 52 punti se una infame malattia non lo avesse limitato e ferito, mica perché ora non possa allenare ma semplicemente perché non si può ottenere il massimo se il tecnico non è sempre presente fisicamente, o impossibilitato a trasmettere l'energia che il suo carattere gli consentirebbe di trasmettere. Altrimenti tutti lavorerebbero in smart working.