editoriale

Serie A: la rivoluzione dei diritti tv prende piede, ma non siamo ancora la Premier

La legge Melandri si appresta ad avere i mesi contati, la rivoluzione dei diritti tv è un tassello prioritario per rendere il campionato più equilibrato e vendibile in stile inglese. Ma attenzione, la strada da intraprendere è lunga e complessa.

Matteo Ragazzi

“Ho imparato che una pacca sulle spalle è sempre meno incoraggiante di un calcio nelle palle”, così canta Entics nel suo pezzo “Lungo la strada”. Una visione leggermente masochistica, ma reale, di alcuni momenti della nostra vita. E sembra che il Bologna l'abbia fatta sua: la pacca sulla spalla rimediata a Roma è stata meno incoraggiante dei sei calci nelle palle presi a Napoli. Risultato: vittoria casalinga che mancava da tempo immemore contro il Genoa, ottenuta anche con una discreta dose di carattere, tralasciando i discorsi riguardo queste pseudo-amichevoli di fine stagione. Ottimo, ma per svegliarsi non è necessario farsi umiliare precedentemente, prendere un post-it e attaccarlo sul frigo presente a Casteldebole.

Attenzione quindi a chiudere degnamente il campionato, attenzione alle 3 gare rimanenti perché agguantare il decimo posto significherebbe incassare ben tre milioncini bonus, figli del tanto agognato piazzamento di metà classifica. Non proprio spiccioli, specialmente per un club dal fatturato ancora ridotto come quello rossoblù. A proposito di entrate supplementari: il discorso riguardante una diversa suddivisione dei diritti tv acquista, giorno dopo giorno, una piega sempre più concreta. Ultimo, ma non per importanza, l'intervento di Matteo Renzi, schieratosi sostanzialmente insieme al presidente Saputo nella battaglia per rendere maggiormente concorrenziale il campionato di Serie A.

Il quadro: l'ipotesi sarebbe quella di alzare la percentuale dei ricavi da distribuire a tutti i club in modo uguale (dal 40% al 50%), mentre il restante 50% verrebbe suddiviso tra la popolazione/bacino d'utenza (30%) e i risultati storici (20%). Numeri che snocciolati in questa maniera non esplodono in tutta la loro forza rivoluzionaria, innanzitutto perché la parte fissa dei ricavi salirebbe da 18 a 23 milioni e il 30% relativo al bacino d'utenza verrebbe rivisto sotto un'ottica più oggettiva. Risultato? Le big perderebbero dai 10 ai 40 milioni di euro a fronte di aumenti compresi tra 3 e 20 milioni di euro a favore delle medio-piccole. Il tutto per evitare fastidiosi monopoli e oligarchie: di fatto negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a due cinquine pressoché consecutive di Inter e Juventus, streak che inevitabilmente finiscono per uccidere l'interesse commerciale nei confronti del pacchetto Serie A, leggasi Ligue 1 e Bundesliga (il campionato tedesco vive però di altro).

Equilibrare il campionato dall'interno potrebbe però comportare un calo netto dei risultati sportivi in campo europeo, non che in realtà le italiane ottengano chissà quali successi, ma il rischio di affossare ulteriormente il ranking nel breve periodo sarebbe concreto. Non vorrei però che una visione miope della situazione guadagnasse terreno: ridurre il gap in Italia significherebbe aumento della competitività interna, la quale comporta interesse e spettacolo, che a loro volta creano ricavi. Il punto focale una volta ottenuto un maggiore livello di competizione si sposta e diventa vitale per la sopravvivenza della Seria A vendere il proprio brand a peso d'oro, stile Premier League, in modo da non vanificare un possibile livellamento verso il basso nel breve periodo. D'altronde nel triennio 2016-2019 il campionato inglese incasserà ben oltre 2 miliardi di euro, più del doppio delle appaiate inseguitrici Liga e, appunto, Serie A. Ciò non deve creare illusioni, il titolo rimarebbe e rimarrà un affare per pochi, ma la possibilità di essere competitivi a buon livello verrebbe concessa ad una larga fetta di club e società come in Inghilterra. Le italiane dipendono dai diritti tv per larga parte, rappresentando in alcuni casi anche il 60% dei ricavi, il nuovo sistema potrebbe forzare diverse società ad intraprendere un percorso virtuoso composto di attenzione alle strutture, stadi, settori giovanili, marketing e merchandising per ovviare ai cali della ridistribuzione dei diritti tv.

Una strada da imboccare, un'occasione da cogliere: club come il Bologna potrebbero trarne benefici enormi e accelerare così un percorso di crescita già scritto. Più equità, ma con attenzione: questa è una partita che la Serie A non può permettersi di perdere.

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