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Addio Rombo di tuono

Redazione TuttoBolognaWeb

Nato a Leggiuno in provincia di Varese, ad 8 anni perse il padre per un incidente sul lavoro e poco dopo, per un tumore, perse anche la madre. Gigi fu mandato in svariati collegi religiosi della zona e in seguito, fu preso in carico dalla sorella maggiore Fausta, 6 anni più grande. Tutte queste controversie, condizionarono e non poco il carattere di Gigi Riva, tanto da renderlo spesso autocritico, malinconico, taciturno, triste, schivo e severo, anche con se stesso. Amava spesso star da solo. In campo però, tirava fuori tutta la sua potenza, la sua energia, la rabbia che aveva dentro; da questi suoi lati caratteriali in campo, ecco il soprannome “Rombo di Tuono”, probabilmente il detto più famoso di sempre nel mondo del calcio. Forte col piede sinistro e in acrobazia; il secondo gol acrobatico, in Vicenza Cagliari 1-2, è di una bellezza unica, uno dei gol più belli di tutta la serie A e forse, il gol più bello segnato da Riva nella sua carriera, proprio nel campionato 1969-70’, quello dello scudetto del Cagliari e di tutta la Sardegna. Resta ad oggi, l’unico scudetto italiano vinto da  una squadra isolana. Riva stava al Cagliari, come Rivera stava al Milan, Mazzola all’Inter e Bulgarelli al Bologna, tanto per intenderci. I suoi potenti tiri dentro all’area di rigore o anche fuori dall’area, viaggiavano spesso alla velocità di 120km/h, come una macchina all’epoca, lanciata ad alta velocità. Con i palloni di cuoio di quel tempo, duri e più pesanti, non era facile calciare così forte. In allenamento, spesso piegava i guantoni ad Albertosi; quando calciava un rigore, spesso i portieri invece di scegliere un angolo, si buttavano quasi sedendosi, al centro della porta, per evitare il più possibile di essere colpiti, citofonare Zoff. Una domenica, prima di Lazio-Cagliari, Danilo Piroddi, un bambino di 9 anni, all’Acqua Acetosa si apposta dietro la porta dove in allenamento Riva prova dei tiri dalla distanza. Piroddi viene colpito ad un braccio e riporta svariate lesioni. Riva alcuni giorni dopo l’accaduto, andò a trovarlo e gli regalò un pallone, firmò l’autografo sul braccio ingessato e gli dedicò il gol segnato alla Lazio. Il malcapitato bambino, gli chiese anche la maglia numero 11 ma Riva, non potè regalargliela, avendone solo una, quella che indossava tutte le domeniche. Mica come ora che se ne hanno a centinaia e vengono anche venduti nei punti vendita ufficiali.

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