lo spunto

Davvero i giocatori sono tutti uguali?

Manuel Minguzzi

Motta chiamato a gestire i giocatori forti, che non possono essere del tutto uguali agli altri. Da qui passa il finale di stagione

Si dice spesso che il vero pregio di Thiago Motta, oltre alla sua filosofia tattica che ha portato il Bologna settimo, sia la democrazia all'interno dello spogliatoio. Uno vale uno: sembra quasi uno slogan politico ma è la regola del tecnico che premia chi si allena meglio. Questa sarebbe la spiegazione dell'esclusione di Marko Arnautovic dalla sfida di Torino. E' un argomento complesso, questo, e meriterebbe pagine e pagine, ma inutile tediarvi e vi rimando alla seconda parte dello sproloquio. Premessa: l'idea di non dare nemmeno qualche scampolo di partita al miglior marcatore della squadra con il Bologna sotto di un gol resta un errore. A prescindere.

Non è stato invece uno sbaglio puntare inizialmente su quelli che avevano portato Motta a fare due punti di media a gara, ma se da un lato è comprensibile questa scelta dall'altro è stato criticabile il piano partita, probabilmente errato per l'evolversi della stessa. Snaturare l'identità del Bologna settimo non ha avuto particolare senso, così come non ha avuto senso chiedere a giocatori che fino alla settimana prima avevano pressato a tutto campo di restare dietro a rincorrere gli avversari. Il caos, infatti, si è percepito fin dai primi minuti. In sintesi, portare il Toro in casa tua a pressare, e spesso alle spalle, costringendo i giocatori a risalire il campo di settanta metri palla a terra ha portato la squadra a perdersi e sfaldarsi, perché priva dei punti di riferimento che aveva avuto nei tre mesi scorsi.


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