In una giornata come quella di questi giorni, con un clima come quello di questi giorni, in un angolo qualunque delle nostre campagne, viveva (meglio: vegetava) una carota.
editoriale
La carota e la lepre
In una giornata come quella di questi giorni, con un clima come quello di questi giorni, in un angolo qualunque delle nostre campagne, viveva (meglio: vegetava) una carota. Una bella carota arancione, di media taglia anche se il colore e le...
Una bella carota arancione, di media taglia anche se il colore e le dimensioni erano solo immaginabili dal piccolo colletto che spuntava dalla superficie. Le carote, si sa, vivono la loro esistenza soprattutto interrate e ciò che è visibile è perlopiù un verde ciuffo di foglie.
Da quelle parti viveva (meglio: scorrazzava) una lepre. Una bella lepre di campagna, di quelle che si notano in maniera sfuggente, vista la rapidità con la quale si muovono: snella, agile e con lunghe orecchie pelose.
Lepre e carota incrociarono per un po’ il loro sguardo e scambiarono, per sana e spontanea educazione, qualche parola.
“Com’è la vita della carota?” chiese la lepre.
“Beh! Non mi lamento –rispose il vegetale- me ne sto qua al calduccio, protetta dalla coltre di terra. Non ho bisogno di procurarmi il cibo: mi basta il nutrimento delle mie radici e l’umidità che mi circonda. Nessuno mi da fastidio e a parte il panorama un po’ limitato, la noia è in fondo sopportabile. Tu invece?”
“Io vado un po’ di fretta –replicò l’animale con aria un tantino trafelata, guardandosi intorno – sai com’è: fra un po’ comincia la stagione della caccia e i cani sono scatenati. Poi con i cacciatori è anche peggio, quelli sono anche armati e occorre avere gli occhi sempre aperti. Per proteggermi dal clima devo improvvisare dei rifugi e sono in continua migrazione per procurarmi il cibo”.
Si lasciarono così, senza nemmeno salutarsi, consce di essere agli antipodi di una logica esistenziale, come appartenenti a universi talmente diversi da apparire impossibili.
Carota o lepre, in senso strettamente animal-vegetale, si nasce.
Carota o lepre, in senso metaforico-figurato si diventa. Anzi si sceglie di diventare.
E’ facile, comodo, poco rischioso tifare per una squadra importante, con grandi risorse finanziarie, che esercita un potere dominante e che diventa, quasi inevitabilmente, vincente.
Più complesso scegliere (aver scelto) la bandiera, magari nobile ma forse un po’ sbiadita, di chi ora fatica a sbattere insieme due copechi (cit. E.Righi), sputa sangue, fiele e rabbia ogni domenica, ingoia magoni grossi come tortelloni e deve costantemente soffrire per tirare avanti.
La favoletta si presta a similitudini di vario genere, adattandosi a svariate applicazioni nella vita di tutti i giorni, nella fisionomia di tante persone e, perché no, alle reazioni e agli atteggiamenti.
E’ facile e comodo ora attaccare e seminare pessimismo. Attaccare la società per strategie lacunose, spesso maldestre e mai lungimiranti. Attaccare il tecnico per aver avallato troppo supinamente cessioni senza adeguati rimpiazzi. Attaccare anche i giocatori perché non riescono, magari con un impegno oltre-le-righe, a supplire a carenze congenite.
E’ facile attaccare, comodo e certamente vincente.
Come è facile, ora, improvvisarsi a menagramo Cassandre per sentenziare (con ancora più di 30 partite e 90 punti in palio!) retrocessione certa, inappellabile e addirittura meritata.
Facile, comodo e forse vincente (piuttosto autolesionistico, direi).
Ciascuno è libero di scegliere ciò che preferisce: carota o lepre in fondo, sono destinate comunque a finire in un tegame. Ma ciò che conta non è tanto la fine, quanto il percorso.
Personalmente sto con le lepri che domenica, forse sotto la pioggia, migreranno verso Reggio-Sassuolo. Sto con le lepri che sosterranno, fino alla fine, i giocatori (quelli buoni, quelli meno buoni: portano tutti la nostra stessa maglia) pretendendo il massimo, ma non risparmiandosi in nulla. Sto con le lepri che guardano aldilà dal banale orizzonte di sconfessare tecnico, criticare la Società o prevedere sciagure per il solo gusto di un “io l’avevo detto a Ottobre!”.
Rispetto per le carote…ma francamente non m’interessano: sanno un po’ della peggiore borghesia, di puzza sotto il naso, di noia, ocamorta e per certi versi, di Juve-Milan-Inter.
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