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Allo scoperta dell’uomo Donadoni

Tutti i retroscena della carriera del nuovo tecnico rossoblù, dai vari soprannomi, alla sua grande professionalità e capacità di lavorare in qualsiasi condizione, sempre senza scomporsi e con grande umiltà. Dal Resto del Carlino.

Lorenzo Romandini

Lo spessore umano di questo allenatore lo conosciamo bene, si è sempre contraddistinto per la grande pacatezza e umanità con la quale ha sempre lavorato in tutte le società nelle quali è andato.

Abbiamo avuto modo di apprezzare la sua caratura soprattutto a Parma, dove la sua innata pazienza è stata più volte messa a dura prova da Antonio Cassano. Con questo giocatore le cose non sono sempre andate nel migliore dei modi, è vero che fu proprio il tecnico a volerlo fortemente con gli Azzurri nella spedizione in Europa del 2008 e a chiamarlo a Parma nella stagione 2013-2014, facendoli indossare la 99 gialloblu.

Fantantonio lo aveva ribattezzato “Crisantemo”, alludendo molto probabilmente all'espressione sempre seria dell'allenatore.

Comunque Donadoni, anche quando Cassano aveva iniziato sui social ad esternare i suoi malumori, palesando il famoso “mal di pancia” per certe situazioni societarie, si era elegantemente rifiutato di rispondere; come aveva glissato su un possibile litigio avvenuto in campo a Collecchio.

Tutti questi erano soltanto la punta dell'iceberg, perché nel 2014 ci fu il vero ammutinamento di Cassano. Donadoni nel momento anche più nero del Parma comunque invitava i giocatori a dare il massimo sul campo e mostrarsi dei veri professionisti; questa cosa non andò molto giù al giocatore barese che voleva magari da Donadoni un atteggiamento diverso, più vicino alla squadra che a salvaguardare l'immagine della società, meno aziendalista insomma.

Da lì le famose litigate al momento delle sostituzioni del giocatore e nel campo di allenamento, portarono la definitiva panchina per Cassano e l'addio prematuro il 26 gennaio con un comunicato stampa della società emiliana.

Molto probabilmente l'unica cosa che si può recriminare a Donadoni è stata la sua immutata e costante fiducia nella società, riponendo le sue speranze in persone alle quali invece bisognava andare contro. L'accoppiata Alborghetti-Manenti fu la vera rovina per questa società e forse Donadoni doveva prenderne le distanze anzitempo.

Interessanti retroscena della vita calcistica di Donadoni raccontano alcuni aneddoti: il tecnico per allestimento del suo ufficio a Collecchio, vedendo che le cose andavano per le lunghe, andò lui stesso all'Ikea a comprarsi mobili, scaffali e scrivania, per poi montarseli da sé.

Oppure in momenti morti durante l'allenamento, si metteva a strappare la gramigna dal prato; insomma pulizia, concretezza ed efficienza.

D'altronde a Milano quando era ancora giocatore lo chiamavano “Osso” per la sua spiccata propensione a non mollare mai; questo nei suoi anni da allenatore si è visto, soprattutto nella passata stagione a Parma, quando le cose andavano nel peggiore dei modi, lui era sempre al campo con grandissima professionalità, per preparare ogni partita, spuntandola anche contro la Juventus con il successo per 1-0. Caparbio e un gran lavoratore fino alla fine.

Allenatore puntuale nelle conferenze stampa, che a volte iniziavano anche con qualche minuto di anticipo. Non amante della polemica e del mettersi in mostra sotto i riflettori, lineare nelle sue dichiarazioni, con un linguaggio forbito e controllato in ogni situazione.

Magari a qualche presidente, vedi Berlusconi che proprio nel 86' lo volle fortemente al Milan come primo suo acquisto, non piace molto questa freddezza che si potrebbe tradurre negli spogliatoi in un'incapacità di motivare e arrabbiarsi con la squadra. Questo però è palesemente un falso, Donadoni non parla a vanvera, tanto per far respirare la bocca, pesa le sue parole, in campo e dentro gli spogliatoi, e per riuscire e portare una squadra provinciale in Europa League sicuramente qualche strigliata l'avrà fatta, e non solo una di tanto in tanto.

Una figura che al mondo del calcio può fare solo bene.