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Ezio, nel cuore il numero uno

Ezio Pascutti, un campione viscerale

Franco Cervellati

Sono sufficientemente vecchio da avere visto giocare di persona Ezio Pascutti. Erano gli anni Sessanta e avevo fatto il mio debutto al Comunale in tempo per vedere la mia squadra del cuore scendere in campo con un bello scudettone tricolore sul petto. Ho subito istintivamente amato quell’attaccante non sempre bello da vedere ma stupendamente baciato dalla Dea del Gol. Nella mia visione da bambino degli eroi rossoblu lo vedevo come il soldato ferito da mille battaglie che sembrava sempre sul punto di cadere e invece trovava chissà come e chissà dove lo slancio improvviso, felino, di proiettarsi sulla prima palla buona che gli capitava vicino (o meglio, alla quale lui faceva in modo di trovarsi vicino) e con energie insospettate scagliarla verso la porta avversaria, di testa, di piede, di tibia, di ginocchio. E spesso gonfiava la rete lasciando di stucco difensori e portieri.

Mio padre da giovane stravedeva per Gino Cappello e, tramontata la sua stella, aveva eletto Pascutti a suo nuovo idolo. Si, il suo cuore di tifoso batteva per Ezio forse più che per Giacomino. E scoprivo che anche molti altri la pensavano così. Per Bulgarelli lo stadio aveva la venerazione che si porta verso l’aristocrazia del calcio. Lo ammirava, si spellava le mani dagli applausi, lo adorava. Mai, credo, lo ha fischiato. Con Pascutti il rapporto era diverso, più viscerale, più diretto. Ti faceva dannare e subito dopo esaltare. Ti trascinava nel vortice del tifo più di chiunque altro perché lui stesso in campo era umorale, viveva stati d’animo diversi come se invece di una partita ne giocasse dieci in una volta. Le sue reazioni fumantine ad un calcio ricevuto si armonizzavano perfettamente con le tue proteste dagli spalti. Di calci infatti ne ha presi una valanga, tanti da costringerlo a smettere presto e addirittura, invecchiando, a far fatica a camminare. I bolognesi hanno anche fischiato Pascutti, sissignore, come si rimprovera un figlio che non ubbidisce ma che poi ti porta a casa un nove in pagella e allora lo abbracci forte. Se è vero che nel cuore dei vecchi tifosi rossoblu Ezio aveva un posticino un po’ più grande di quello riservato a Giacomino, allora mi considero anch’io un vecchio tifoso. Se non altro perché, quando ho avuto l’occasione di comporre la copertina di un libro con le fotografie dei miti rossoblu, ho riservato lo spazio principale al celeberrimo scatto di Maurizio Parenti del gol in tuffo con Burgnich inutilmente aggrappato in un Bologna-Inter 3-2 di cinquant’anni fa che assunse un significato storico perché era l’ennesima rivalsa bolognese contro lo strapotere interista di quegli anni, calcistico e soprattutto politico. Come storico rimarrà sempre quel suo meraviglioso, irripetibile volo d’angelo spiccato sul prato del Comunale. Uno dei tanti.

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