la voce del tifoso

Il figlio delle stelle

«Quando avevo la maglia del Bologna ero “il grande Gil” e piacevo così».

Matteo Rimondi

"Ogni maledetta domenica che il Bologna scende in campo, nella Bulgarelli sventola una bandiera che raffigura un giocatore nell’atto di allacciarsi una scarpa. «Per la faccia che si porta in giro non ha responsabilità, anche se assomiglia molto di più all’idea che di solito abbiamo di un attore o di un cabarettista che di un atleta: viso dai lineamenti forti, sguardo ribelle, baffi e capelli crespi da contestatore, ma per il suo modo d’essere “diverso” come atleta qualche ideina ce l’ha messa», scriveva di lui Enzo Tortora.

Gianluca de Ponti, per tutti Gil. E non è uguale. Se hai una faccia un po’ così, Gil ti calza a pennello. Nato a Firenze il 14 luglio 1952, di professione attaccante. Alla fine della sua carriera totalizzerà 143 presenze e 35 reti in Serie A. Veste la maglia rossoblù nella stagione 1977-78 e dal 1982 al 1984. 88 presenze e 15 reti spalmate fra serie A, B e C1. Il suo esordio in rossoblù è una bomba: San Siro, 11 settembre 1977, Inter-Bologna. Cross di Stefano Chiodi tocco di Gil e Bordon è battuto. Il Bologna sbanca Milano. «Una gran bella soddisfazione! E con l’Inter vincemmo anche al ritorno: 2-1, segnammo io e Stefano».

Mezzo pacchetto di sigarette al giorno e una vita sregolata fuori dal campo, tanto da meritarsi l’appellativo di “Figlio delle Stelle”. «Da giovane, quando ero scapolo, uscivo alla domenica e al lunedì, mica al venerdì o al sabato. Ma quando arrivai a Bologna ero già molto più maturo. Poi avevo una fortuna: non ho mai bevuto, sono quasi astemio». Ad accrescerne il mito, le  passeggiate con un’anatra al guinzaglio. «E’ tutto vero. Ero a Cesena e girai in centro con una pelliccia portando a spasso una papera. Ridevano tutti». Ma che giocatore era Gil De Ponti? «Un giocatore mediocre, un attaccante funambolico, estroso. Non ho mai fatto tanti gol. I fondamentali? Ma cosa vuoi che avessi i fondamentali. Quando mi sono affermato avevo già più di vent'anni. Sapevo quel che sapevo, nessuno ormai poteva affinarmi più. Avevo giocato solo in Promozione, ero un istintivo». In campo polemico fino alla nausea. «Ma io sono fatto alla mia maniera. Io in campo tiravo cancheri e non mi controllavo. Resta il fatto che quando avevo la maglia del Bologna ero “il grande Gil” e piacevo così». Moglie e figlio bolognesi e un addio che ancora brucia. «Non ho mai digerito quella cessione per poche lire, un addio che evidentemente devo al signor Pesaola».

Stagione ‘77-’78, De Ponti arriva da Cesena in un Bologna che ormai da anni svende i buoni giocatori per fare cassa. La classifica ne risente, il pubblico è risentito. Gil segna sette reti e saluta la compagnia per andare ad Avellino. «Ci salvammo all’ultima giornata, con Pesaola. Però per me è un gran bel ricordo quella salvezza. Ci avevo messo il cuore. A Bologna avevo trovato gli affetti, speravo di restare a lungo. E invece a fine stagione mi cedettero all’Avellino. Ci rimasi male». Quattro anni dopo, stagione 82-83, torna a vestire la maglia rossoblù. Non che fosse un momento migliore, anzi. Il Bologna è appena retrocesso in serie B per la prima volta nella sua storia: «L’atmosfera non era delle migliori. Fu un anno triste: la società di fatto non esisteva, il presidente Fabbretti fu addirittura arrestato, e alla fine scendemmo in serie C. L’anno successivo però abbiamo vinto il campionato e siamo risaliti in serie B».

Smesse le scarpette tacchettate, la vicenda di Gil diventa la storia di una malattia che ha colpito tanti atleti di quell’epoca. Un bernoccolo in testa, una operazione. Una seconda operazione a causa di una diagnosi sbagliata e mille domande senza risposte. «Non può essere un caso, molti amici e compagni di allora non ci sono più, e quasi tutti per malattie simili. Non posso dire che ci siano responsabilità dirette, però sicuramente succedevano cose strane, mai approfondite. Pur di farti giocare e stare in campo ti davano sostanze che non ti facessero sentire alcun dolore. A casa ho una foto di squadra del Cesena che ha più croci del cimitero di Campiombi!».

Questa, in poche righe, è la storia di Gianluca de Ponti, per tutti Gil. Sicuramente non era un fenomeno né un super bomber, ma quando Gil scendeva in campo dava tutto. Per questo credo che la bandiera del “grande Gil” sventoli al Dall’Ara, perchè i tifosi ameranno sempre quelli che ci mettono il cuore.

(Le risposte di Gil sono state tratte da interviste rilasciate da De Ponti a vari siti internet).