la voce del tifoso

Apologia del Ruso

Se lo hai visto giocare, anche una sola volta, non lo puoi dimenticare. Se te lo sei perso, mi dispiace, un altro così non so se ripasserà su questi schermi. Si, perché Diego Perez, in arte “el Ruso”, era un...

Redazione TuttoBolognaWeb

Se lo hai visto giocare, anche una sola volta, non lo puoi dimenticare. Se te lo sei perso, mi dispiace, un altro così non so se ripasserà su questi schermi. Si, perché Diego Perez, in arte “el Ruso”, era un mastino instancabile con una garra charrua sconfinata. Bologna e il calcio in generale, non lo hanno salutato come avrebbe meritato.

Ma è il 31 agosto 2010, all’ultimo respiro della sessione di mercato estivo, che Diego Perez sbarca a Bologna. Forse arriva spinto dalla voglia di trovare un nutrito gruppo di uruguaiani (Britos e Gimenez, poi Ramirez). Forse perché sa che ad aspettarlo c’è un certo Gaby Mudingayi, anche lui di professione mastino. Bologna lo accoglie come un idolo, ha appena vinto la Coppa America con il suo Uruguay. E’ il capitano, l’uomo spogliatoio, lo scudo umano dell’albiceleste.

“Ruso Ruso, alè alè alealè, Ruso Ruso” canta per lui la Bulgarelli e Diego la ripaga. Sempre. E’ instancabile, si appiccica come la carta moschicida all’avversario e non lo molla. Gambe leggermente piegate, occhi fissi sulla palla e un’espressione da Psycho. O palla o gamba, questo è il suo credo. El Ruso e Mudy, c’è bisogno di dire altro? Quei due guardano dritti negli occhi gli avversari: “No ragazzi, da queste parti non si passa, almeno che non vogliate rimetterci una tibia, un perone o più semplicemente non vogliate lasciarci volontariamente il pallone. Perché se passate quella fottuta linea di centrocampo potete stare certi che saranno dolori. La decisione spetta a voi”. Le sue partite consecutive sono al massimo tre: un giallo lo prende sicuro (41 totali in rossoblù). Di rossi pochi, pure l’arbitro ha paura che gli entri in tacle.

“Corri Diego! Corri!”. El Ruso corre, corre e corre ancora. Va a dar man forte in ogni zona del campo al compagno in difficoltà e una randellata non la nega a nessuno. Forse corre pure troppo e perde quella lucidità che gli servirebbe per un buon passaggio filtrante, un assist nelle zone calde del campo. Insomma, gli manca quel guizzo che farebbe di lui il centrocampista perfetto. Lì in mezzo gli puoi chiedere di giocare ovunque, ma non chiedergli di fare goal. Quello proprio no, per lo meno non a Bologna. In Emilia piuttosto che tirare in porta si farebbe svitare i piedi. No grazie, c’è Marchino là davanti che la sbatte dentro, perché devo tirare io?

“Ruso! Ruso!“. I primi tre anni in rossoblù sono indimenticabili. 83 presenze, zero goal e tanto sudore lasciato in campo. Il 30 giugno 2013 va via da Bologna da svincolato per poi rindossare la casacca felsinea nell’agosto dello stesso anno. Sarà un anno maledetto, un anno vissuto da giocatore normale, non da Diego Perez. Lui che non si era mai arreso, neppure sul tre a zero al novantesimo, il 29 marzo 2014 alza bandiera bianca. Bologna Atalanta 0-2. Scusate, è colpa mia, non sono utile alla causa. Fine del Ruso. No, questo non è da Diego Perez! Cosa sia davvero successo lo sa solo lui, probabilmente si è arreso a qualcosa di più grande del calcio, qualcosa che gli girava nella testa e non gli consentiva più di essere Diego Perez.

A luglio 2015, dopo una stagione per lui mai iniziata, decide di ritirarsi dopo 16 anni passati a rincorrere palloni e avversari. In casa una collezione di tibie, stichi e caviglie da far invidia al museo di storia naturale di Bologna.

Ciao Ruso, grazie di tutto.